Quando chiami un vino “Integer”, scrivendolo
a caratteri cubitali in etichetta, o sei un filo spocchioso, oppure sai ciò che fai e cosa c’è
dentro. Buona la seconda.
Integro significa, intanto, che la mano
interventista dell’uomo è limitata al minimo indispensabile, nonostante le
attenzioni siano altissime. Zero filtrazioni, infatti il liquido è leggermente
torbido, zero solforosa, zero stabilizzazioni, zero chiarifiche.
Ma io Integer lo leggo anche come elemento
qualificante del contenuto. Infatti così è.
Il nostro macera per l’intera durata della
fermentazione - spontanea, con lieviti indigeni - in fusti di rovere.
Sì, un
macerato, di quelli che piacciono a me, di quelli il cui varietale non viene
mortificato. Anzi.
A te che sei un “maceratore”, saltato a piè
pari sul cavallo modaiolo del processo macerativo, comprati uno di questi
flaconi, assaggialo, e fai un parallelo, onesto, con i tuoi.
E’ integro già dal naso. Sicilia a canna. Farei
prima a scrivere quello che non c’è.
I profumi sono tantissimi e freschissimi, eleganti
e di pulizia rigorosa, e il rischio di perderne qualcuno è giusto girato
l’angolo.
E allora vai con gli agrumi, anche glassati –
cedro, arancia e mandarino – passando per il melograno e l’albicocca, lo
zafferano, molta frutta secca – mandorla e fico – quindi dattero, resina e
fragranti note iodate.
Integrità manifesta anche all’assaggio. Convince
per freschezza e acidità, con tutto il bagaglio olfattivo che trova immediate e amplificate conferme. Magistrale nel suo equilibrio, con un focus rivolto all’inappuntabile dominio alcolico - 14.5° non sono
bruscolini.
Ottima la grassezza di un sorso di struttura - abbinato con pollo ruspante – e abbellito da ampiezze, verticalità
e persistenza notevoli.
Ricca salinità, forti tinte di mandorla, fico
sciroppato, dattero ed altri effluvi marini a
go-go, rifiniscono una bevuta eccellente.
Perché non chiamarlo Integerrimo?
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