Adoro il vitigno, da sempre nelle mie corde,
ritornato/riportato in auge, non da molto.
Nondimeno, a mio (in)discutibile palato,
sono e restano pochissimi gli interpreti che mi trasmettono vibrazioni, checchè
ne scrivano gli infallibili guidaioli, anche quelli di nicchia, scopritori di straordinarie
pepite enologiche che solo loro. E qui non voglio aprire un postone nel post, perchè non c’ho un ci-a-zeta-zeta-o
voglia. Tanto poi, tra mille distinguo, i “sono d’accordo ma…” hanno ragione comunque
loro.
Qui, a casa mia, non è un caso che, gli
unici pixel spesi, siano stati per il Rossese “Testalonga”, al secolo Nino
Perrino, ancorchè ne abbia bevuti, e ne beva, parecchi.
Ad ogni modo, da oggi, anche il Galeae di Piero, Maurizio
Anfosso e Roberta Repaci – ci saranno galloni meritati anche per il Beragna,
l’altro cru aziendale – entra, a
pieno e meritato titolo, nei Rossese del cuore di Vinondo e, ça va sans dire, a maggior ragione, continuerà
a varcare la mia cantina, con tutte le attenzioni del caso.
Circa il vino, giusto due coordinate geografiche: Liguria
di ponente, Val Verbone, Soldano, nomeranza
Galeae, esposizione est.
Per tutto il resto gugolate,
con beneficio d’inventario.
Vinificazione e affinamento solo acciaio,
per un calice rosso rubino, di esuberante freschezza.
Ricco e ampio bouquet, il cui incipit verte sulla carnosità del frutto – ciliegia,
agrume e lampone – declinando, successivamente, un coté vegetale di alloro e cenni di macchia mediterranea,
impreziosito da un netto carattere pepato.
Completa approvazione del palato con
l’impronta olfattiva, di limpida timbrica territoriale. L’ossigenazione allarga
e distende il liquido, portando in dote puntuale mineralità e confermando scattanti
toni speziati.
Sorsi ritmati, ariosi e di appropriata trama
tannica.
Malgrado qualche scodata alcolica nel finale,
la beva scorre golosa, per una chiusura pulita, a forte densità balsamica e di
buona persistenza.
La sua potenzialità evolutiva è molto più di un azzardo.
Il Rossese che mi piace e cerco: spontaneo e
di naturalezza espressiva, mai artificioso e privo di sofisticherie. Se il vino
è il figlio del vignaiolo, è giocoforza che mi accinga a conoscere cotanto
padre e cotanta madre.
Del mio cartone da sei, comprato lo scorso
anno in enoteca, tomo tomo, cacchio cacchio, questa è, ahimè, la quinta passata
alla storia, in pochissimo tempo.
E non ti dico della costanza qualitativa...
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