"P’tit
Jean" é uno della banda dei quattro. La banda é quella del compianto
Marcel Lapierre, capostipite della rivoluzione per il rilancio del vitigno
Gamay. Dici Gamay e il pensiero viaggia veloce ai Beaujolais, i vini novelli,
talvolta – non immeritatamente - così tanto biasimati e vilipesi.
E’
curiosa la storia di Jean, bevitore di whisky & cola, che un bel giorno si trovò, obtorto collo, a
condurre i vigneti di famiglia. Dopo un paio di vinificazioni con uso
massiccio della chimica, venne fulminato sulla via di Damasco da Jules Chauvet,
uno dei padri fondatori della moderna biodinamica. Fu quello il punto di non
ritorno, la svolta. Da quel momento
ebbe inizio lo studio, lo sviluppo e l’uso di tecniche biologiche e biodinamiche
sia in vigna che in cantina. Per conseguenza, scordiamoci
i Beaujolais come li abbiamo conosciuti fino a ieri.
Nel bicchiere un bel rosso
rubino scuro, fitto, quasi nero. All’olfazione é davvero fresco, floreale e
fruttato; c’è profumo di frutti rossi, in particolare spiccano una bella
ciliegia matura e il lampone, con dei marcati cenni di spezie.
L’attacco
é facile e dolce, nondimeno espressivo, e mi accompagnano la freschezza e la croccantezza
del frutto già avvertite all’approccio olfattivo. La bocca, immediata e
coerente, porta in dote grazia ed elegante levità. Tannini leggeri e bella
acidità invogliano un sorso già piacevole di
suo e dotato di buona persistenza. Bicchiere ad alta digeribilità, per usare un
vocabolo molto à la page di questi
tempi. Non somiglia ad un Beaujolais, in alcun modo.
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