Non conosco personalmente - solo di vista -
il signor Fausto De Andreis, una sessantina di vendemmie sulle spalle, definito
da qualcuno anarchico della vigna.
Dopo aver bevuto i suoi vini, mi son curiosamente
chiesto “ma perché anarchico?”
Con questo Pigato è stato coup de cœur;
per ulteriori conferme, rivolgersi al coniglio alla ligure, in accompagnamento.
Macerazione, il tempo giusto e necessario,
acciaio, riposo sulle fecce, niente filtrazione e poca solforosa. Tutto secondo
la sensibilità di Fausto.
Anarchico?
Un vino di rara territorialità, dorato e
secchissimo, con complessità crescente allo scorrere del tempo. Un calice via
l’altro, che profuma e sa di mare, alga e salsedine, albicocca e pesca, cedro e
arancia. E quei sentori che ti proiettano sulle colline liguri, fronte mare, in
una dimensione balsamica e di macchia mediterranea – rosmarino e menta - con
speziatura piccantina, quasi bruciante. E salino.
Dodicigradipuntocinque di meraviglia e
bellezza, di profonda tensione gustativa.
Incanta in allungo.
Raramente ho trovato tanta pulizia e rigore,
che fanno il paio con carattere e personalità.
Anarchico?
Per me, anarchico, lo è chi fa vini all’opposto.
Anarchico è il vino impreciso, difettoso, ridotto/ossidato
a canna e altre pregiate essenze, di cui non sto qui a smenare.
Fausto anarchico?
Un lemma usato a vanvera, svuotato del suo
significato e che mi ha garbatamente stancato. Come quello usato da un ex venditore di elettrodomestici, convinto
di essere il creatore e custode del cd vino libero,
facendone una mezza crociata, forse ignorando che il Fausto è da mo' che lo fa, indicandolo,
al plurale, in etichetta.
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