Tre
amici hanno fondato nel 1980 questa azienda, il cui appellativo è l’acronimo
dei loro tre cognomi – per inciso Cilia, Occhipinti e Strano. Negli anni l’azienda
ha sempre più assunto una sua connotazione ben definita, abbracciando i principi della viticoltura
biodinamica ed iniziando, dal 2000, ad affinare parte della propria produzione anche
in anfore. Non essendo mio costume smerigliarvi
con inutili e ampollosi panegirici, vi invito a visitare il sito per conoscere
la loro storia e la loro filosofia.
Qui, sic
et simpliciter, interessa parlarvi di questa bottiglia.
Il
Ramì è l’unione, in parti equivalenti, di Inzolia e Grecanico; per la
vinificazione si ricorre a vasche in cemento vetrificato, con le bucce che rimangono
a contatto per una decina di giorni.
Nel
calice è oro sgargiante, con riflessi quasi ambrati. Al naso è un’esplosione di
frutta gialla – albicocca e melone - agrumi – arancia e cedro in rilievo –
fieno, mandorle e una virgola di miele.
In
bocca entra morbido, fresco e avvolgente con i profumi che trovano esplicita e precisa
espressione a livello gustativo. Si ripropone, in particolare, la parte fruttata, che
si appropria quasi totalmente del palato. E’ avvincente, inoltre, l’aspetto
minerale che emerge nella seconda parte del sorso, sostenuto da buona acidità. Una
bottiglia che non difetta sia di complessità che di equilibrio e termina sapida, con
media persistenza.
Non
se lo filano in tantissimi, ma mi è piaciuto una cifra.
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