Ricordo di aver letto, tempo fa - sinceramente
non dove e, men che meno, l’autore – che il Rossese è vino poco incline
all’invecchiamento. Beh, senza risalire alla notte dei tempi, ancorchè io
l’abbia fatto, proprio nella cantina di Nino, bevendo il 1973 e 1978, e
trovandoli in ottima forma, questo 2004 è già sufficientemente indicativo, circa
il percorso evolutivo, nel bene e nel male e, nella fattispecie, dà la paga, a
quel/quei fenomeno/i che hanno scritto tale sciocchezza.
Il rosso ha assunto pieghe aranciate, calde,
ma alcuna deriva mattonata. Per conseguenza, anche il naso ha risvolti maturi,
ma affatto ossidati. Il nostro ci ha impiegato un paio di ore a stiracchiarsi,
vestirsi e pettinarsi, come si conviene – me lo aspettavo e ho giocato
d’anticipo - per presentarsi, preciso e ordinato, all’appuntamento gastronomico,
fatto di un formidabile salame artigianale cotto.
Di fresca ed elegante complessità, fin dal
naso, di quel naso, continuamente cangiante e avvolgente, che si fa interprete
ed ambasciatore del suo terroir,
fatto di tantissima balsamicità e speziatura, di frutti(ni) rossi, anche sotto
spirito, e di forti scosse di mineralità salmastra, con intarsi di macchia
mediterranea essiccata, humus e sale.
La bocca, incisiva, non solo resta fedele al disegno
olfattivo, ma allarga il ventaglio degli aromi, toccando vette di piacevolezza
e complessità non così scontate. Davvero bello, osservare e apprezzare lo
sviluppo di tutto il flacone, mai un momento uguale all’altro, con sensazioni
di rabarbaro e pepe nero, di ciliegia sotto spirito, poi il cacao amaro,
alternarsi con polvere di cioccolato dolce, poi l’eucalipto e le suggestioni di
un sottobosco autunnale, che respira gli umori del mare.
Il finale, molto profondo e persistente, mi
lascia un palato di liquirizia e tabacco dolce, con fiammate salmastre e nuances di cacao.
La classe non è acqua e questi sono sorsi di seta pura.
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