L’altra
sponda del Tanaro, quella sinistra, geologicamente più recente e meno
aristocratica.
Per le mie eno-esperienze, tante volte sinistra anche di fatto.
Neanche
tremila bottiglie di questo Nebbiolo che mi è piaciuto, a partire dal suo rosso
rubino e di belle trasparenze, nonostante non subisca filtrazioni. E’
giovanissimo, come i suoi “genitori” - Emanuele ed Enrico Cauda - al punto che se
potessi riavvolgere il nastro, lo riporterei in cantina.
Freschissimo al naso,
regala profumi dolci di frutta scura – amarena, ciliegia e mora – molto cacao e
una nitida trama minerale.
Al
palato entra avidamente goloso, richiamando il linguaggio dolce del frutto e,
anche qui, irradiando giovinezza a go-go.
Il sorso, netto e preciso nei sapori, assume una beva smodata e contrassegnata
da tannini assai appuntiti, a tratti ferocemente pungenti, tuttavia mai scontrosi, né
sgarbati.
Era tanto che non bevevo un Nebbiolo con questa verve tannica.
Era tanto che non bevevo un Nebbiolo con questa verve tannica.
Ridendo
e scherzando, la boccia è evaporata in un amen, con la bocca ancora famelica.
Gli
è mancato giusto un poco di persistenza, ascrivibile alla sua gioventù, sicuramente.
L’ultima
sorpresa l’ho avuta ruotando la boccia: 14,5 di alcol. Addomesticare, a tal
guisa, il tenore alcolico e assicurare, allo stesso tempo, eleganza, armonia ed
equilibrio, fa pensare alla bravura, umiltà e passione che ci mettono Enrico ed Emanuele.
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