Ho incontrato e conosciuto i coniugi Bressan, Fulvio e Jelena, quest'anno alla rassegna Vinnatur di Villa Favorita. Quella ventina di minuti passata a chiacchierare con Fulvio mi è bastata per capire che avevo davanti sì un vulcano, sì un fiume in piena, sì un personaggio scomodo, impulsivo e ingombrante – anche fisicamente – ma soprattutto avevo di fronte una persona che diceva quello che pensava, senza diplomatismi, senza acrobazie linguistiche e inutili perifrasi. Avevo di fronte un individuo che appartiene a quella specie, in via di estinzione da mo’, che va sotto il nome di Persone Vere.
Da
alcuni giorni, stanno scorrendo fiumi di inchiostro in riferimento alle
esternazioni fatte da Fulvio, sul suo profilo facebook, relative alla ministra Kyenge
e ad altre personalità politiche.
Si
è scritto e letto di tutto, e come succede, abitualmente, nel nostro Belpaese,
le opinioni e i giudizi dividono e spaccano il popolo eno-italico – ma non
solo enoico - e perfino da oltreoceano è giunta la scomunica senza appello. Tra
i tanti commenti, una larga parte - per non dire la quasi totalità - impalma l'idea del boicottaggio, a 360 gradi, dei suoi vini. La mission è: non parlarne più, evitare di recensirli e soprattutto non
comprarli mai più.
Ora,
ammesso che Fulvio l’abbia fatta fuori dal vaso e che non saprebbe che farsene
della mia difesa – né tantomeno intendo farlo, non ne sarei capace e Fulvio ha sempre dimostrato di sapersi assumere i suoi oneri - mi solletica il desiderio, di illustrarvi alcune constatazioni che possano stimolare riflessioni pacate e non polemiche - sia chiaro - che altrimenti tradirebbero il mood di questo blog.
Esco, volutamente, dal caso di specie, per sottolineare – a livello generale - come ormai noi
italiani – meglio, italioti - da
troppo tempo guardiamo alla forma, solo a quella, senza accorgerci che in tal guisa
perdiamo di vista sempre – sistematicamente e irreparabilmente – il contenuto.
La
parola d’ordine è, ormai, una sola e imperante: essere politicamente corretti. Tutto il resto conta poco, anzi zero. Ci
arrampichiamo sugli specchi, coniamo nuovi vocaboli per descrivere situazioni e
condizioni umane, senza poi fare nulla in concreto.
Un esempio su tutti? L'espressione diversamente abile per
descrivere una persona sfortunata, che fino a qualche tempo fa veniva chiamata
handicappata. Provate a frequentare le stazioni ferroviarie, le metropolitane, le
pensiline di attesa dei mezzi pubblici, gli uffici pubblici, i marciapiedi -
l’elenco continuatelo voi - delle nostre città - per constatare con i vostri
occhi quali siano i salti mortali che affrontano, quotidianamente, questi soggetti per poter accedere a quelle strutture ed esercitare i loro diritti. Circostanze disgustose e umilianti,
imbarazzanti e deplorevoli, indegne di un paese civile. Si domandi a costoro, se preferiscono essere chiamati “diversamente abili” e incontrare
sul loro cammino ostacoli di ogni genere, oppure preferirebbero continuare ad essere
chiamati “handicappati”, pur di aver accesso, senza difficoltà alcune, in tutte le
situazioni che ho appena esposto.
La forma e il contenuto.
Altro
esempio: a troppi italiani non importa di essere vessati, da tempo immemore, da una
classe politica, impunita, che spreca, offre lavoro in nero, addirittura, ai suoi portaborse,
ruba – pure qui l’inventario continuatelo voi - in una parola ci infinocchia, senza alcun ritegno. Troppi italiani
– quorum non ego - si preoccupano che la
sodomizzazione avvenga in modo politicamente
corretto.
La forma e il contenuto.
Mi
torna alla mente il film “Il mio nome è Nessuno” dove Nessuno racconta a Jack
Beauregard la favola dell’uccellino (tralasciando la parte finale, relativa alla morale). Pensiamo
alla “forma-gesto” della vacca ed al “contenuto-gesto” del coyote.
Potrei proseguire ancora, ma mi fermo. Non prima, tuttavia, di aver scelto - e di tenermi ben stretto - Fulvio Bressan, con il contenuto, in primis, delle sue bottiglie,
seguito dal contenuto delle sue dissertazioni, senza attribuire troppo aggravio
alla forma espressiva, delle volte, indubbiamente, fuori scala. Stiano lontani da me i farisei ed i talebani del politicamente corretto.
(immagine tratta dal sito aziendale)
Avrei qualcosa da rimproverare alle farneticazioni della wine-writer americana Larner e di tutti quelli che sui blog dedicati da sempre al linciaggio di qualcuno hanno fatto una canea sulle dichiarazioni di Bressa, promuovendone il boicottaggio.
RispondiEliminaNon mi risulta che né la Larner (né alcun altro wine-writer americano) abbia bandito dai wine-tastings in precedenza alcun vino fatto da conclamati nazisti sudafricani, tedeschi, argentini, francesi e austriaci. Troppo comodo invece boicottare adesso Bressan sull’onda dei commenti comparsi su alcuni blog di almeno due produttori suoi concorrenti, rei in questo caso di concorrenza sleale. Una giornalista che si presta a quel gioco secondo me e’ una pennivendola. Franco Ziliani e Luciano Pignataro sui loro blog hanno invece inquadrato la questione in modo giusto, pur da convinzioni politiche diametralmente opposte, dando l’esempio di come si fa giornalismo del vino in modo serio e non soltanto per aprire stupidamente la bocca e starnazzare, oppure fare i fanatici per fomentare un altro linciaggio.
Io continuero’ ad assaggiare, a bere e a commentare i vini buoni dei produttori in gamba, anche quelli di Bressan, di cui non condivido la violenza del linguaggio che ha usato, davvero fuori scala nella forma, ma le cui opinioni, per chi non ne condivide il contenuto, devono semmai essere contrastate con intelligenza e buonsenso, al lume della ragione e non con la bava alla bocca né i metodi dei Savonarola della mutua, una bella definizione che Tommaso Farina ha perfettamente azzeccato in un commento sul blog Vinoalvino.org
Buongiorno sig. Mario, la ringrazio del suo intervento al cui riguardo mi trova pienamente d'accordo e conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che fatte rarissime eccezioni, siamo davanti a comportamenti ipocriti e il "dagli all'untore" non passa mai di moda.
RispondiEliminaNella vicenda dell’esclusione dei vini di Fulvio Bressan dalle prossime degustazioni e valutazioni da parte della wine-writer americana Monica Larner di Wine Advocate e da parte dei curatori della guida di Slow Food, Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, mi ha stupito non poco che abbiano aperto improvvisamente gli occhi e si siano sorpresi di ciò che Fulvio Bressan pensa e scrive. Nel mondo dei giornalisti del vino lui è sempre stato così, non ha mai nascosto il suo modo di pensare ai suoi amici, ai suoi colleghi e a tutti quelli con cui ha lavorato, a tutti gli scrittori di vino, che non possono far finta di non aver mai sentito, mai capito.
RispondiEliminaLo hanno recensito ed esaltato lo stesso finché faceva comodo a tutti, da chi millantava la sua amicizia per bere a sbafo roba buona fino a chi citava i suoi vini scrivendone panegirici su blog e riviste e, pecunia non olet, quelli che li vendevano, nonostante i suoi noti commenti sempre (sottolineo sempre) connotati da violenza nel linguaggio, tutto questo perché è vero che è uno dei produttori migliori. Ed è questo che dà fastidio al mondo vinicolo dei potenti.
Questa vicenda è stata tratta dal suo profilo privato su Facebook soltanto per montare una canea e dare addosso alla sua filosofia enologica di successo, si è approfittato di parole indifendibili, da bufalo incazzato più che razzista (chi lo conosce bene dice che non lo è, che lavora con gente di ogni razza, che sua moglie è una extracomunitaria) per proporne ufficialmente il boicottaggio, un boicottaggio però che nei suoi confronti non è nuovo, ma sta andando avanti da anni alla chetichella, con colpi bassi e questo è solo l’ultimo tentativo di tagliarlo fuori dal mercato. I Savonarola della mutua, dall’alto del loro perbenismo, ci son cascati tutti. Come diceva spesso Montanelli, l’italiano non è razzista, ma intollerante. Alle parolacce rivolte da Bressan al ministro (che se vuole lo può querelare perché sono firmate) ci sono state troppe risposte, ma di anonimi, di tono almeno pari, se non peggio, in quanto a violenza verbale, insulto, pisciate fuori dal vaso, secondo la moda in voga durante la peste a Milano, come ai scritto bene tu: “dagli all’untore”.
I contenuti di cio’ che ha scritto Bressan sono passati in secondo piano, forse perché nel Nord e dovunque si lavora la maggioranza della gente li condivide, mentre nei salotti buoni e dovunque si chiacchiera e basta va di moda accodarsi agli opinion-maker dei talk-show e dei blog della gogna mediatica. Lì sono rimasti soltanto degli accenni senza approfondimento, eppure sarebbero stati quelli veramente da discutere, da contrastare per chi non li condivideva. No, si sono accontentati di espellere il rospo. E soltanto quel rospo.
Sta per uscire Wine Advocate, sta per uscire la guida vini di Slow Food. Vedremo se ci saranno decine di vini di criminali nazisti che finora ci sono sempre stati e vedremo se d’ora in poi decideranno di espellerli, altrimenti le dichiarazioni di principio fatte dai wine-writer delle due pubblicazioni sono soltanto aria fritta. Buona per corrispondere allo sdegno dei politically correct di sinistra, che poi sono i sostenitori di Slow Food. Mi sembra impossibile che possano utilizzare un peso e una misura in un Paese come il nostro, che è spaccato in due dalla politica pur di garantire il perpetuarsi di quella casta di sanguisughe che si fa gioco della democrazia per accaparrarsi potere, poltrone, ricchezze, prebende e pensioni d’oro (divide et impera, no?).
Aggiungo che io non condivido la violenza del linguaggio che Bressan ha usato, davvero fuori scala nella forma, ma le cui opinioni, per chi non ne condivide il contenuto, devono semmai essere contrastate con intelligenza e buonsenso, al lume della ragione e non con la bava alla bocca né i metodi della caccia alle streghe.
RispondiEliminaRiguardo alla sostanza, infatti, che sta dietro a quelle dichiarazioni di Bressan, fin da subito il ministro Kyenge ha giurato il falso sulla Costituzione, nell’assumere il suo incarico, il 28 aprile al Quirinale. Aveva detto: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione”, ma nella sua prima conferenza stampa il 3 Maggio a Palazzo Chigi ha detto invece che “non potrei essere interamente italiana, sono italo-congolese e, tengo a sottolinearlo, sono italo-congolese perché appartengo a due culture, a due paesi che sono dentro di me e non potrei essere interamente italiana, non potrei essere interamente congolese, ciò giustifica anche la mia doppia identità, ciò giustifica ciò che io mi porto dietro. Questa è la prima cosa con cui io vorrei essere definita”.
Fin da subito questo ministro ha anteposto le rivendicazioni degli immigrati rispetto alle necessità degli italiani, promuovendo l’accoglienza incondizionata degli immigrati, l’abolizione del reato di clandestinità, la chiusura dei Centri di identificazione e di espulsione, la regolarizzazione dei clandestini, la più ampia estensione del diritto all’asilo politico, la concessione dello jus soli, cioè della cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia (che giustificherebbe ipso facto la presenza dei genitori sul territorio anche contro i dettami della legge e i requisiti richiesti).
Di discussioni su questa sostanza non ce ne sono state su quei blog dove si è lasciato fomentare il boicottaggio a Bressan, che è già boicottato da sempre per il successo della sua filosofia di vinificazione e ha sempre suscitato perciò l’ira dei suoi concorrenti e dei loro lacchè, che non hanno perso la ghiotta occasione e hanno subito approfittato della sua uscita fuori dai gangheri per colpirlo immediatamente additandolo al ludibrio, mettendolo alla gogna e danneggiandolo economicamente con la propaganda per il boicottaggio, in Italia e all’estero.
Si vuole stabilire un principio, giusto o sbagliato che sia? D’accordo a condizione che ciò valga erga omnes. Invece lo si brandisce come una clava nei confronti di qualcuno, mentre per altri si ricorre a distinguo di ogni specie. Ciò vale non solo nell’affaire Bressan, ma è una storia che si ripete a ogni piè sospinto. Restiamo vicini, sig. Mario, e prepariamoci che stanno arrivando gli eno-giacobini che sapranno impartirci inappuntabili lezioni di etica …a un tanto al kilo.
RispondiEliminaNon chiamarmi sig. Mario, caro Berardo, per piacere. In quanto agli eno-giacobini, mi risulta che c'è un fracco e una sporta di incompetenti in fatto di vino, ma che hanno deciso di occuparsene per ritagliarsi un posto comodo di critici del vino sul Web, che hanno via via alzato il tiro contro questo o quel personaggio del mondo del vino pur di farsi notare, attirare lettori. Si sono montati la testa a tal punto che i loro blog sono stracolmi di anonimi (cioè di uno solo che scrive sotto diversi nomi e con diversi stili, per sembrare in centomila), ma dove sono pochini quelli che si firmano e che ci mettono la faccia. Non sono eno-giacobini: sono commercianti che devono colpire chi è veramente indipendente, chi è fuori dal coro, chi non ha interessi in quell'ambiente, vogliono scalare rapidamente il Web mettendo alla gogna chi li contrasta, chi ha imparato a riconoscerli per la miseria che sono nelle varie kermesse del vino. facile per loro far leva sugli eno-appassionati che non hanno compreso quali interessi economici veri muovano certi post piuttosto che altri e intervengono a vanvera su temi come i no-Tav, i calci in culo in Puglia a un giornalista serio del vino o alle dichiarazioni sul sito privato di Bressan. Più che eno-giacobini li definirei degli eno-prezzolati al servizio dei potenti. Il che non è una nolvità. Sono peggio i servitori o i loro padroni?
RispondiEliminaCaro Mario come vorrei si tornasse a parlare di vino. Noto, purtroppo, con estremo dispiacere che c'è gente che continua a gettare benzina sul fuoco, alimentando ipocrisie che non condivido.
EliminaBeh, visto che preferisci parlare di vino e mi sembra giusto, in un blog del vino, non te lo potevo dire prima ma stamattina ho segnalato ad Alessandro Dettori il tuo giudizio sul suo bianco, che ho assaggiato non più tardi di un mese fa proprio da lui. Molte cose non si scrivono sul blog, perché sono frutto di elaborazioni individuali, molti non ti avvisano neppure che ti hanno segnalato ad altri, ma sappi che quel che scrivi rimane, è usato, fa un lungo giro, anche se tu non ne sei a conoscenza. Vai avanti a scrivere di vino, che fai bene. Ciao!
RispondiEliminaChiarisco meglio, poichè non vorrei essere frainteso. Non era riferito a te il voler tornare a parlare di vino, ma in senso lato. Tanto poi sai bene, Mario, che ognuno rimane della propria idea e non recede di un millimetro dalle posizioni assunte. Come hai rimarcato bene tu c’è qualcuno che ha interesse a “pompare” questa storia.Ti confesso che avrei molti più lettori se scegliessi di dare un taglio polemico al blog, ma non mi piacciono le speculazioni e poi questo, in fondo è un passatempo di un semplice appassionato che con tutte le sue lacune si mette in gioco e ci prova a raccontare qualcosa, si spera, di utile, ma soprattutto vero e confrontarsi con altri lettori. Ciò non mi impedisce, tuttavia, di intervenire, prendendo posizione, mettendoci l'autografo, come ho fatto in questi giorni, anche commentando su altri blogs.Ti ringrazio della tua segnalazione e della considerazione dimostrata fin qui. Stasera mi aprirò un vino di Fulvio e poi ne parlerò. Ciao
RispondiEliminaSì, avevo capito bene che non era rivolto a me. però non è così sicuro che ognuno rimane della propria idea. Le cose che scriviamo fanno riflettere le intelligenze vive, ed è a queste che ci rivolgiamo. I cervelli chiusi, asfittici, sterili, non ci interessano. Chi sposa partiti o convinzioni resti pure confinato nelle sue ragnatele. C'è molta gente, invece, che si misura con quel che scrivi e riflette. Non è detto che rimanga sul suo. Quel bianco di Dettori, per esempio. Alessandro sa perfettamente quel che ne penso. Adesso sa anche quel che pensi tu. Passa in vigna un sacco di tempo, fatica con gli attrezzi agricoli, l'ho visto, ha bisogno di estrema sincerità, ma anche da parte di chi non dimentica che dietro un tavolino e un calice è diverso, nel giudicare, che non sulla terra a spaccarsi la schiena col sudore al sole implacabile e al vento terrificante, sul cocuzzolo di una montagna che manco riceve le chiamate al cellulare, isolato dal mondo. Questi produttori sono degli artisti, degli autori, non degli industriali col marketing che venderebbe anche la sabbia agli arabi. "Spaccano" le opinioni in fase di degustazione e spesso sono altri i fattori con cui li si valuta nel loro complesso, tra cui le idee politiche o le simpatie calcistiche. Non sottovalutare il fatto che per me, interista, l'approccio col Grignolino di Liedholm non è stato facile. Eppure è stato un grande giocatore (anche se dell'altra squadra di Milano), un grande allenatore (anche se dell'altra squadra di Milano) e ha fatto autentici miracoli con quel difficile vitigno in Monferrato. Il suo Grignolino è uno dei migliori in assoluto, anche se rossonero di fede e di fatto. O che per me, che auspico un'evoluzione multirazziale e senza confini del mondo, l'approccio con i vini di Bressan è stato forse ancora più difficile e problematico. Ma la mano e il genio del vignaiolo sono parte integrante del vino, come il vitigno, il sole e la terra e bevendo quel vino non c'è alcun dubbio che sia ben fatto, al meglio delle sue capacità. Poi si può anche mollargli un cazzotto sotto la cintura per il modo in cui ha scritto quelle cose, a dir poco triviale, ma questo credo che lui già lo sappia, dopo tutto il casino che ne è nato.
RispondiEliminaQuando dico che ognuno rimane della propria idea mi riferisco alle posizioni assunte durante una polemica, feroce, come quella che è scoppiata su questo caso, non certamente riguardo alle impressioni e/o emozioni che suscita un calice, pur salvaguardando la soggettività di chi si esprime in merito. Io sono del parere che avere opinioni precostituite, quando ad esempio si beve un vino o si assapora un cibo, è fuorviante. Prima provare, recita un vecchio adagio, e poi parlare. Se cominciamo a infilare idee politiche, partitiche, in un bicchiere, in un piatto o dappertutto, imho rischiamo di smarrire la nostra capacità di valutazione, pur sempre discutibile, ma onesta. Tuttavia mi rendo conto, per molti, la direzione sia l’opposta, hanno già in tasca, in anticipo, il verdetto, magari politicamente corretto, ma figlio di pregiudizi.
EliminaL'apertura mentale, sempre e non soltanto nelle polemiche, è un bene prezioso. Bevevo nebbiolo sul gorgonzola, secco come un chiodo, gnucco, ed ero convinto di moglie e buoi dei paesi tuoi. Il Gino nazionale mi suggerì l'Anghelu Ruju, un vino sardo che non conoscevo, un Cannonau frutto della vinificazione di uve appassite due settimane su teloni ai piedi delle viti. Fu una rivelazione. Qualcuno poi mi propose un Tokaji 4-puttonyos, bianco e ancora più dolce. Un'altra rivelazione! I pregiudizi, anche sui vini, da allora non mi appartengono più.
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