Avevo
ancora sete, dopo cena, di qualcosa di “caldo”, ma non distillato, di qualcosa
che mi facesse da guanciale. Scendo in cantina, lo punto, lo estraggo dalla
rastrelliera, 13 gradi lui, uno in più la cave. Aggiudicato.
Ho
già scritto altre volte - mai abbastanza, lo so - dei vini di Marco Sferlazzo.
Il
Saray è Catarratto, in purezza. Quell’ambrato – trenta giorni sulle bucce,
senza solforosa, con lieviti indigeni - radioso, solare e vibrante, che
dapprima ti incuriosisce la vista, ti corteggia il naso poi e, infine, ti
conquista e ti possiede il palato.
Naso
loquace e sincerissimo, che non abiura le sue origini. Di freschezza
martellante, sguinzaglia le peculiarità siciliane, partendo dalla frutta –
melograno e dattero, melone e albicocca, un mix di agrumi – per toccare le
espressioni vegetali delle macchia mediterranea isolana.
Un solido impianto
minerale e salmastro mi spedisce in overdose
i recettori.
La
stessa, incitante e asciutta freschezza, la incontro al palato, che certifica
la traduzione, armoniosamente simmetrica, degli aromi olfattivi in sapori. Riecco la
frutta gialla e rossa, con la scorza di cedro, l’albicocca e il dattero davvero
svettanti, mentre sale ancora di intensità l’aspetto salmastro, con picchi
salini sferzanti.
Sorso
di carattere, lungo e assai persistente che, con il dilatarsi della
temperatura, mi regala un finale di mandorle, spezie e fichi sciroppati.
Con
le stesse cure che riserviamo ai rossi, iniziando dalla temperatura. Me raccumanno.
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