Prima di entrare nel dettaglio di questo
flacone, inquadro un attimo il cru, il cui significato circoscrivo prima
e blindo poi, al fine di evitare che qualche malcapitato/distratto/saccente/parruccone/erudito
incappi, incautamente, da queste parti e impartisca lezioni off topic, a
un tanto al kilo, di geografia, piuttosto che di storia, piuttosto che di
trigonometria, etc.
Filippiche che, per altro, risultano utili quanto un
porcaro davanti alla kaaba della Mecca.
Presumevo, sbagliandomi, che varcate le
sogli(ol)e del terzo millennio alcuni paletti fossero ben piantati nella zucca
di tutti. Ribadisco, qui si bada al so(li)do, cioè al liquido.
Punto, punto e virgola, due punti (cit.).
“Les Chetillons” altro non è che un lieu-dit di Mesnil sur Oger – il nome non si presta, in alcun modo, nè ad altri
riferimenti, nè ad altri significati - all’interno del quale la famiglia Peters
possiede tre parcelle di vigne, di oltre 45 anni, che vinifica separatamente.
Lo stile maison è quello di lasciar parlare il terroir che, nel caso di specie, non
solo parla, canta addirittura, scalando ottave di bella.
La mia sostava in
cantina da 4 anni, ergo un tempo
ragionevole per permettere, se del caso, ad un millesimo, generalmente non
radioso, di riscattarsi in vetro.
Adesso è oro
sfavillante, con perlage finissimo,
rettilineo, assiduo.
Al naso c’è
qualche lieve traccia terziarizzata che, nel volgere di un quarto d’ora, si
disperde non appena il vino inizia ad aprirsi e distendersi.
Intensità e
complessità, introdotte da note burrose, speziate e mandorlate, che si
sostanziano attraverso una impressionante gessosità – purissima e cremosa – che
detta i tempi di avvicendamento ora al muschio, ora al fungo e tartufo, poi
ostrica, pera e agrumi confit.
Il palato
emoziona per freschezza, ricchezza e potenza. Agile e verticalissimo, ma
spalleggiato da materia e struttura proprie della bacca nera. L’apoteosi
della mineralità di Mesnil, qui ancora in fase ascendente – ore dieci emmezzo,
undici menounquarto – finemente cesellata da texture di fascino, la quale alterna, sapientemente, profondità
marine – ostriche e conchiglie – a lucidi tocchi di sottobosco e champignon, scorza di arancia
caramellata a miele e cannella.
Interminabile,
profondo, largo, alto, basso, di qua, di là, come vi pare, su insistenti e
dense consistenze gessate, tatuate di radice di liquirizia.
Con tartare
di sugarello e ombrina al sale, sorsi, a tratti anche cerebrali,
indimenticabili.
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