Troppo comodo bere vini che piacciono.
Talvolta scelgo, appositamente, vini che stanno
agli antipodi delle mie papille, giusto per vedere se risponde al vero che solo
i cretini non cambiano mai idea. Nel caso di specie, non ho mai fatto mistero
del fatto che non straveda (eufemismo) per il “taglio bordolese”, anzi.
In questo assemblaggio, le cui percentuali
variano di anno in anno, troviamo un 45% di Cabernet Franc, un 35% di Merlot,
un 15% Cabernet Sauvignon e pochi spiccioli di Petit Verdot. L’invecchiamento
dura circa otto mesi in barrique di
rovere francese di secondo e terzo passaggio e si completa con 10 mesi in
cemento.
Un calice scurissimo, anticipa un naso che
coniuga ricchezza e ampiezza di profumi: frutta scura di bosco, un leggero
tocco di peperone e pepe nero, alloro e geranio, note di humus e tanta
balsamicità.
Falegnameria? Vaniglia? Neanche l’ombra.
Il palato è, in buona sostanza, coerente e
anche meglio del naso. Affatto concentrato e marmellatoso, ha freschezza e
carattere fin dal primo sorso, con la frutta che si sposa a ventate speziate e
precisi tocchi di mentolo ed eucalipto, con suadenze minerali miste a netta
sapidità. Mi sorprende l’equilibrio acido-tannico di questa bottiglia, a fortiori, dopo aver letto il tenore
alcolico - 15.5° non sono bruscolini - completamente integrato e mai percepito.
A prescindere dai sacri gusti, una bevuta
davvero armonica e, soprattutto, la prova provata di come, anche da noi, si
possa fare taglio bordolese territoriale,
abbinato ad un uso non scriteriato del legno, senza scimmiottare i cugini
d’oltralpe.
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