Il tappo è brutto, molto brutto, brutto e
cattivone.
Al naso è cattivissimo, così cattivo che, al 99,99 periodico, un tappo così è prodromico di un vino bouchonné. Invece…quel nulla di probabilità cui
aggrapparsi, con il trascorrere delle ore, ha ribaltato le più nefaste premesse.
Schema olfattivo inizialmente irrigidito, che
piano piano si “scalda”, assumendo, dopo alcune ore, quella personalità
intensamente espressiva e cangiante, che, di norma, si riconosce solo ai grandi
vini.
Naso che combina, sapientemente, freschezza e
terziarizzazione: champignon e
tartufo bianco, humus e cera d’api, resina di pino e anice stellato, burro e frutta
tropicale, con nervature iodate e affumicate.
In bocca il passo è splendidamente serrato e
compatto. L’ossigeno aiuta, come non mai, a svelare la ricchezza dello scrigno,
la boccia si apre completamente generando reazioni simil-ormonali, o giù di lì.
Scorze di cedro e mandarino, pesca e pera, zucchero di canna, miele e zenzero...La
ripresa delle prime sensazioni olfattive, fa ripartire le danze, creando un ciclone
di emozioni al palato.
Persistenza quantificabile in quarti
d’ora, con potenti richiami di spezie orientali e tartufo, uniti a effluvi salmastro-affumicati.
Al di là di qualsivoglia descrizione, resta
granitica la convinzione di quanto, dinnanzi a queste opere d’arte, sia complicato
– forse impossibile – raccontare compiutamente un’emozione e, soprattutto,
trasmetterla via pixel.
Abbinamento? Il migliore, in assoluto: con le
Persone più care, ça va sans dire.
Merci Hélène
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