Chi mi legge, sa come la pensi sui bianchi
di quella zona là e di come non ne abbia mai fatto mistero, scrivendolo più
volte. Trattandosi di Sauvignon poi, troppo sovente, la storia si ripete: aromi
sparati, esagerati, posticci e chi più ne ha, più ne (s)metta.
Questo di Dipoli non è il solito Sauvignon unougualeallaltro.
E’ un Sauvignon…che
non è. O (magari) sono gli altri che non lo sono?
Quasi oro nel calice, con profumi davvero
delicati, misurati e reali. Accosto il naso e noto che non c’è pressochè traccia
dello scontato bagaglio aromatico vegetale cui ci hanno abituato “gli altri”.
Il fatto che Dipoli vendemmi allorquando l’uva abbia raggiunto la completa
maturazione, spiega, inequivocabilmente, perché nel bicchiere tutto ruoti a
beneficio dell’aspetto fruttato – arancia, cedro e mango – ad intero discapito
di quelle rasoiate verdi fatte di esasperate note di foglia di pomodoro, salvia
e peperone. C’è qualche impronta vegetale – timo, fieno, anice e menta – ma molto,
molto defilata.
L’ossigenazione regala, infine, un tocco
sapido-minerale davvero autentico.
In bocca il passo è elegante, fresco e
armonico. Fedele al profilo olfattivo, il palato accoglie questa piacevole
consistenza di frutta, soprattutto tropicale, con omogenea fusione tra cedro,
bergamotto e mango, che, verso la fine, assume anche andature candite. Si
mantiene di basso profilo la dimensione vegetale, mentre la vena acida e
rocciosa, conferiscono tensione e profondità al sorso.
Elevata fluidità di
beva, lungo e persistente.
Non bevetelo troppo freddo.
Non bevetelo troppo freddo.
Quanto gradirei questa stoffa diventasse
patrimonio di altri Sauvignon.
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