La réserve perpétuelle, prima che i figli di Raymond – Hélène, Dominique e Francis – intraprendessero,
all’inizio del 2010, il proprio percorso professionale.
E’ un assemblato dei 3 vitigni classici – 60
Pinot Nero, 20 a cranio Chardonnay e Pinot Meunier – che si basa sul metodo
meglio conosciuto come “Solera”, ma che i cugini, da buoni sciovinisti,
chiamano riserva perpetua.
Come recitano i numeri romani in etichetta, sono
comprese le vendemmie dal 1997 al 2005, le vinificazioni avvengono
separatamente, si ricorre all’uso di barriques,
anche nuove, lieviti indigeni, no chiarifiche e filtrazioni.
Il mio flacone ha
subito dégorgement il 2 agosto 2008.
Stile ossidativo o
ossidazione tout court. Piace? Non piace? Dipende. Qualcuno lo
considera un difetto.
Al naso è fresco, ancorchè la declinazione
dei sentori sia dominata, giocoforza, dai toni confits. Trovo frutta esotica caramellata, una bella pera, del burro,
nocciola tostata e miele, pepe bianco e gessosa mineralità. A sette anni dalla
sboccatura, tuttavia, mi sarei aspettato una migliore fusione del legno, che grava
sullo spettro olfattivo, con qualche paletto a ostacolare la complessità.
Al palato entra grasso, vinoso e legnoso. L’assaggio
evidenzia, maggiormente, il profilo ossidato del sorso che, nondimeno, scopro
molto secco, tagliente e di fine effervescenza. Il tempo non aiuta e rimangono,
purtroppo, le tante schegge boisé che, andando oltre le semplici tostature,
intervengono anche sulla vivacità di beva.
Un vino maturo, un legno giovane: la mia boccia, con qualcosa fuori asse.Oops!
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