venerdì 16 marzo 2018

Ka’ Manciné Rossese di Dolceacqua Galeae 2015




Adoro il vitigno, da sempre nelle mie corde, ritornato/riportato in auge, non da molto.
Nondimeno, a mio (in)discutibile palato, sono e restano pochissimi gli interpreti che mi trasmettono vibrazioni, checchè ne scrivano gli infallibili guidaioli, anche quelli di nicchia, scopritori di straordinarie pepite enologiche che solo loro. E qui non voglio aprire un postone nel post, perchè non c’ho un ci-a-zeta-zeta-o voglia. Tanto poi, tra mille distinguo, i “sono d’accordo ma…” hanno ragione comunque loro.

Qui, a casa mia, non è un caso che, gli unici pixel spesi, siano stati per il Rossese “Testalonga”, al secolo Nino Perrino, ancorchè ne abbia bevuti, e ne beva, parecchi.
Ad ogni modo, da oggi, anche il Galeae di Piero, Maurizio Anfosso e Roberta Repaci – ci saranno galloni meritati anche per il Beragna, l’altro cru aziendale – entra, a pieno e meritato titolo, nei Rossese del cuore di Vinondo e, ça va sans dire, a maggior ragione, continuerà a varcare la mia cantina, con tutte le attenzioni del caso.

Circa il vino, giusto due coordinate geografiche: Liguria di ponente, Val Verbone, Soldano, nomeranza Galeae, esposizione est.
Per tutto il resto gugolate, con beneficio d’inventario.

Vinificazione e affinamento solo acciaio, per un calice rosso rubino, di esuberante freschezza.
Ricco e ampio bouquet, il cui incipit verte sulla carnosità del frutto – ciliegia, agrume e lampone – declinando, successivamente, un coté vegetale di alloro e cenni di macchia mediterranea, impreziosito da un netto carattere pepato.

Completa approvazione del palato con l’impronta olfattiva, di limpida timbrica territoriale. L’ossigenazione allarga e distende il liquido, portando in dote puntuale mineralità e confermando scattanti toni speziati.
Sorsi ritmati, ariosi e di appropriata trama tannica.
Malgrado qualche scodata alcolica nel finale, la beva scorre golosa, per una chiusura pulita, a forte densità balsamica e di buona persistenza.
La sua potenzialità evolutiva è molto più di un azzardo.

Il Rossese che mi piace e cerco: spontaneo e di naturalezza espressiva, mai artificioso e privo di sofisticherie. Se il vino è il figlio del vignaiolo, è giocoforza che mi accinga a conoscere cotanto padre e cotanta madre.

Del mio cartone da sei, comprato lo scorso anno in enoteca, tomo tomo, cacchio cacchio, questa è, ahimè, la quinta passata alla storia, in pochissimo tempo.
E non ti dico della costanza qualitativa...




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