venerdì 29 gennaio 2016

Gaja Barbaresco 2004




Le bottiglie col calzino, stagnolate – chiamale come ti garba – sono le sole che consentono di accantonare, qualora ce ne fosse, qualsivoglia timore reverenziale, piuttosto che sudditanza psicologica, e restano le uniche, imho, che riservano sorprese.
A volte belle, a volte meno.
Non si sottrae nemmeno questa del Roi, servita alla cieca, che ha spiazzato tutti, ancor più quando, una volta svestita, ha reso note le sue generalità.

Il naso non è dei più puliti e, soprattutto, per nulla territoriale, al punto che alcuno è stato capace di collocare geograficamente la bottiglia. Quasi tutti abbiamo detto Toscana (?).
Il ritratto olfattivo è poco comunicativo e anche un filo fuori fuoco, con alcuni tratti varietali – spezia, frutta scura e note minerali – che saranno più leggibili solo verso la fine e, purtroppo, aumenteranno il rammarico di cosa poteva essere.

Il palato è elegante, ma sempre guardingo, prudente, al limite della diffidenza, nello svelare il suo potenziale e attento a non strafare. Come se debba partire da un momento all’altro, ma il freno a mano resta tirato.
Delicatamente emergono la marasca e l’amarena, qualche cenno ematico, note di rosa, con tocchi di cioccolato e incenso a fare da corollario. Bocca stretta e poco dinamica, con chiusura non indimenticabile quanto a persistenza, all’insegna del tabacco dolce e cacao.

Un discreto flacone, privo di tutta quella pirotecnia, che d’abitudine si legge, si sente, circa i vini del Re.


Tutto qui?
Sì, tutto qui
Denari buttati?
Con queste cifre, due ottimi Champagnes millesimati.




mercoledì 27 gennaio 2016

Mascarello Giuseppe e Figlio Langhe Freisa Toetto 2012




Il cognome lo hai letto, il nome pure. Nelle enoguide, sul web, nel mondo intero, premi immancabili ai Barolo (di Mauro) - Cà d’ Morissio, Monprivato, Villero, Perno - mentre della Fresia è più difficile trovare traccia.
Ergo, ci metto la faccia e ti racconto la mia bottiglia.

Toetto è il vigneto piantato a Freisa, non lontano dal Monprivato, in quel di Castiglione Falletto.

Di territoriale tanta struttura – ovvio – contrastata, tutto sommato, da una discreta acidità, la quale ha smorzato anche il patrimonio alcolico, addomesticandolo per buona parte. Per il resto, davvero pochino pochino, come le volte in cui scrivere poco è già tanto. Qualcosina di frutta scura di bosco e (forse) di floreale, nulla quanto a mineralità, speziatura e sapidità, dai tannini di ambigua espressività.

Quelli bravi mi diranno che starà sicuramente attraversando una fase involutiva o di chiusura, e altri bla bla. Io vivo, e bevo, hic et nunc e ho la boccia di vino, non di cristallo. Con tanti saluti a ciò che riserverà domani.

Tanta ciccia e poca coscia significano poca corsa, cioè eleganza, cioè scioltezza. L'avessi bevuta alla cieca, avrei smoccolato per 5 minuti.
Se penso alle Freisa di Vajra, di Beppe Rinaldi, di Massa...

Lascio ai #tuttisoci discettare dei Barolo e glissare/tacere sul resto.


lunedì 25 gennaio 2016

Clos Lapeyre Jurançon Sec Mantoulan 2010




Pirenei atlantici, sud e ovest della splendida cittadina di Pau, capoluogo dipartimentale. Cinque i vitigni di queste lande: Petit e Gros Manseng, Lauzet, Camaralet e Courbu.
Questa azienda, ora condotta da Jean-Bernard Larrieu, fa parte, da sempre, dell’élite della denominazione e Mantoulan, altro non è che il nome del lieu-dit.

In questo assemblage, il Petit Manseng fa la parte del leone (70%), con il Courbu e il Gros Manseng per un 15% a cranio. Vinificato in versione secca, il nostro viene “allevato” per 18 mesi in fûts, dopo la malò.

Il naso è dritto e freschissimo, con un evidente profilo esotico – ananas, guaiava e mango – tocchi di limone, pompelmo e fiori gialli, con una forte, quanto affilata, declinazione minerale.




L’attacco al palato è davvero teso e coerente con le premesse olfattive, cui si aggiungono aromi di nocciola e di mela cotogna, mentre aumenta, con l’ossigenazione, il peso agrumato.
In questa boccia la splendida acidità sa gestire benissimo una grande struttura, per un sorso elegante - eleganza è la peculiarità del Petit Manseng – e di ottimo equilibrio.
Bevuta precisa e molto salivante, dal finale lungo e cristallino, ricco di tantissima mineralità pietrosa, limone e nuances di tartufo bianco.

Un vino di carattere, già stimolante ora, con un potenziale enorme, spinto da materia e da trama acida formidabili.
Un vino, di territorio, che sa dove vuole andare.


venerdì 22 gennaio 2016

R&L Legras Champagne Saint-Vincent 2000




L’eleganza è una qualità oggettiva e inoppugnabile, che si incontra, d’habitude, nello Chardonnay in purezza, a maggiore ragione se proveniente dal villaggio di Chouilly.
Se poi si tratta della Cuvèe de Prestige di questa maison, quella qualità trova completa e persuasiva espressione.

Saint-Vincent, creata in onore del Santo Patrono dei vignerons, (ogni 22 gennaio, giusto oggi), vide luce la prima volta nel 1964 e, ad oggi, sono state solamente 11 le annate ritenute meritevoli di essere millesimate. Questa è l’ultima in commercio.


Sembrerebbe sboccata ieri, vista l’energica freschezza che comunica, viceversa sconta ben 5 anni. Quella stessa freschezza che favorisce la pulizia di profumi che, via via, emergono e stazionano a lungo nelle narici: crosta di pane e biscotto, scorza di agrumi, nocciola e gelsomino, con una dinamica, quanto solida, struttura salmastro-iodata, la quale richiama, te ne fossi dimenticato, la craie inimitabile della Costa dei Bianchi.


Il primo sorso è filo di rasoio, affilatissimo e tagliente, di bollicina impertinente e per nulla accondiscendente. Giusto il tempo della tara – pochi minuti - e la sfacciata effervescenza si trasforma, rinasce infilando l’abito delle grandi occasioni e si presenta come Signora di gran classe.
Tutto il resto viene per conseguenza. L’acidità si mantiene davvero sferzante ed esplosiva, con pregevoli spunti agrumati e speziati, mentre il sorso si arricchisce, cammin facendo, tanto in larghezza, quanto in profondità. Nell’ultima parte di boccia, il carattere minerale-iodato deflagra, lasciando una bocca saldamente sapida e di rocciosità marina, mista a ostriche.
Finale lungo, di persistenza vibrante, tutto scogli marini e nuances di amaretto e tabacco.

Calici di precisione e rigore stilistico da grande maison.
 


Questi 2000, all’uscita, troppo frettolosamente sbertucciati e/o castrati, stanno dimostrando tutta la loro stoffa, regalando concreto appagamento. 
Marescialla e investi qualche deca.




mercoledì 20 gennaio 2016

Ristorante Il Centro | Priocca (Cn)




Il fritto misto alla piemontese




Tanaro, sponda sinistra, Roero, Priocca.
Il ristorante della famiglia Cordero è qui, presente dal 1956.

Al secolo, Enrico, il papà, la memoria storica (e molto altro), con Giampiero, il figlio, in sala, mentre la mamma, Elide, la stellata autodidatta, ai fornelli.

Oggi, cioè due giorni fa, niente menù degustazione, piuttosto che carta.
E' domenica e sono venuto provare un classico della cucina piemontese.
Il fritto misto di Elide è quanto di più agli antipodi della piega, anzi della deriva, che ha imboccato, purtroppo, da un po' di tempo, questo piatto "istituzione", da troppi improvvisato e da tanti fatto malamente, e con abbondante anticipo, servito freddo e, per soprammercato, unto e bisunto.

Qui si impana, la mattina stessa, con uova e grissini freschi sbriciolati, si frigge, sul momento, in padella di ferro e si porta, all'istante, ai commensali. Punto a capo!

Il risultato? Un fritto leggerissimo e croccantissimo, quasi “trasparente”, appena dorato, ustionante nel piatto, bollente fino all’ultimo boccone.

Mi auguro che le foto, scattate con il mobile, documentino sufficientemente, e rendano giustizia a Elide & Co., quanto ti ho appena detto.
Più di un dubbio, tuttavia, conoscendomi.



Grissini e pani maison
 Da sinistra, in senso orario, focaccia, pani alle acciughe, alle noci e al latte




Si inizia con il saluto della cucina:
caldo panino alla cipolla, con salame, privo di nitrati, 
preparato da Elide e Giampiero  




Le salse, tutte ottime, di accompagnamento
da sinistra: peperoni rossi, bagnetto verde, mostarda di Barbaresco



Il fedele scudiero, scelto da una buona carta dei vini,
molto rossi-Langa oriented, dai ricarichi onesti


Ora si parte.
Saranno dieci portate "doppie" (in didascalico)


Batsoà e semolino dolce



Costoletta di agnello sambucano e cavolfiore



"Grive" della Langa (frisse nell'astigiano) e formaggetta alta Langa.
Impasto di fegatini, salsiccia, cervella e bacche di ginepro,
 avvolto e cotto nella rete del maiale.
Accompagnato con bagnetto verde è bontà unica




Bistecca impanata e subric di patate




Salsiccia e finocchio


Fine primo tempo

Un piacevole intermezzo


Misticanza con frutti di bosco


Secondo tempo


Amaretto e fegato di maiale




Filetto di maiale burro e salvia, zucchina in pastella



Cervella e melanzana



Lacetto (animella) e carciofo



Creste di gallo, filone (midollo) e polpetta di coniglio



Mela e pera in pastella


Tempo di recupero


Zuppetta di verdure al moscato, sorbetto al mandarino, chip di pasta di meliga


Le conclusioni, sincere, come sempre, e non di rito, mi costringono al copia-incolla delle premesse che, almeno quelle, mi auguro fossero chiare.
Sottolineo la ricerca della materia prima, illustratami da Enrico, la cura nelle preparazioni, mentre ribadisco la precisione delle cotture e della temperatura.
Aggiungo l'estrema cordialità e simpatia, mai affettate e mai aria fritta, nonchè l'attenzione per ogni dettaglio, di tutto il personale di sala, sotto l'occhio, discreto ma sempre vigile, di Enrico e Giampiero, ai quali, insieme ad Elide, vanno il mio chapeau-bas.

Un signor fritto misto, anche dal punto di vista della digeribilità.

Solo su prenotazione