Il
più antico vitigno autoctono a bacca nera del Piemonte, il Neb(b)iolo, Teobaldo
lo pronunciava come lo si chiamava un tempo, senza la doppia “…perché è più
dolce”.
Nel
calice ritrovo un rosso granato trasparente, diafano. Un’onda balsamica precisa
e pulita con refoli speziati, palesa gradualmente aromi intensi di tabacco da
pipa in primo piano, seguiti da sottobosco, cuoio e ferro, ciliegia, mora e viola.
Questi
limpidi segni olfattivi hanno una più che coerente ripresa gustativa dove
l’assaggio, freschissimo, é marcato da forte presenza di tabacco, ed il
richiamo degli altri aromi nasali é speculare e sincero. Vivida acidità, profondi
tannini e padronanza integra del tenore alcolico – qui si viaggia a
quattordicipuntocinque, mica capperi – esaltano l’armonia e l’equilibrio, mai
in discussione, del sorso. Un gradevole, e lungo, solco mentolato-speziato salda questa
bevuta dalla persistenza duratura e ammirevole.
Mi
sfuggono appropriati e calzanti aggettivi che rendano l’idea di bevibilità
estrema, cosicché ricorrere all’ormai abusata forma “mostruosa” altro non è che
un eufemismo.
Porgo ai miei lettori auguri di buona Pasqua e, se potete, trattatevi bene. Anche a tavola.
Porgo ai miei lettori auguri di buona Pasqua e, se potete, trattatevi bene. Anche a tavola.
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