domenica 21 settembre 2014

Aoc Savennières-Coulée de Serrant 1988 Clos De La Coulée de Serrant




Binomi inscindibili: Loira e Chenin Blanc, Nicolas Joly e biodinamica.

Pressappoco 20 mila flaconi annui, da vigne con un’età media tra i 35 e 40 anni, con picchi di 80, per una appellation di sette ettari, di esclusiva proprietà – monopole - di Joly. Il resto, per chi desidera approfondire, motori di ricerca, merci.

Per quanto mi riguarda, allorchè torno dalla cantina con flaconi di questo spessore (ma anche meno), ormai ho imparato - dopo qualche scottatura di troppo - che le aspettative devono essere pari allo zero, anche quando il produttore è così reputato e il millesimo è storico, altrimenti vado in sbatta ancor prima di infilare il cavatappi. Se poi vi confesso che questa arriva dal web, che lo zio l’avrà comprata chissà dove, da chissà chi e via andare con altre mille paranoie che portano dritto filato all’ansia da prestazione (anche della boccia), capite che avrei fatto prima, e meglio - absit iniuria verbis - a dirigermi dalle parti dei Pirenei per una benedizione.

Sono le ventuno di sera e mi serve, in bolla, per il pranzo-evento del giorno dopo. Prima di estrarre il tappo, procedo con scontato rito apotropaico e pronuncio la frase: “Je m’en fous”, d’obbligo in lingua transalpina.
Tappo integro e incorrotto, p a r f a i t.
Nel calice - giusto due dita - zero ossidazione, niente ambra, ma uno splendido dorato brillante e un naso che, al momento, arruola solo idrocarburo a canna, precisamente quel kerosene seventies austerity style.
Domani, di ritorno dal mio dj set, ti gradirei libero, pettinato e privo di break and beat.

Alle otto del giorno dopo lo trovai muto, in cerca di identità, salvo poi mettersi a fuoco, piano piano, tre ore più tardi. A quel punto compresi che il rito stava funzionando di bella e la personalità e il carattere del purosangue si sarebbero imposti con coraggio, senza reticenze, senza remore.

Alle tredici - a 14 ore dall’apertura – il naso, di freschezza inusitata e svincolatosi dalla zavorra idrocarburica, attacca con una nota erbacea di timo e fieno e tutti quei sentori che ci arrivano non appena mettiamo piede in un bosco: muschio, fungo, tartufo e pure un sottile tocco di muffa.
Allontano, per un attimo, il naso - stordito e capottato da troppa roba - giacchè mi rendo conto che i profumi, con l’andare del tempo, cambiano, si scavalcano e si trasformano in modo repentino e impressionante.
Riavvicinandomi, trovo la declinazione fruttata – agrumi e mela, pesca e pera - e un forte richiamo di anice stellato misto a semi di finocchio e zafferano, con aliti di menta.
Pit stop.
Sono al terzo tempo, impaziente di assaggiarlo e con le narici ormai ostaggio di una sequela infinita di profumi. Nondimeno c’è ancora spazio per aguzze folate di mineralità iodata e marina.

In bocca è finissimo e molto secco. Acidità da katana, inserita in un cerchio magico di sublime equilibrio. Ritrovo, in un rincorrersi strabiliante, gli interpreti dello spartito olfattivo, con armonici turn over tra agrumi e pesca, chiare connotazioni vegetali e precisi tocchi fungini. Ritorna, ripulita e ben marcata, la fisionomia idrocarburica dell’apertura, ora intrecciata da esaltanti scie iodate e sapide. Complessità invidiabile, ammirabile lunghezza e indescrivibile persistenza per un sorso profondissimo, che termina con ampi ritorni minerali, misti a liquirizia, zafferano e caffè.

Con risotto al parmigiano, giusto due sorsi per dire l’ho abbinato, ma poi, come opto spessissimo, con queste opere d’arte, ho ritenuto che l’abbinamento migliore fosse… evitare il cibo. Qualsivoglia.

Un’esperienza unica e indimenticabile. Il miglior bianco mai bevuto, peut-être.


4 commenti:

  1. La tua opinione mi conforta comme d'habitude. Merci.

    RispondiElimina
  2. Salve Duca,

    Mi imbatto in questa suggestiva e profonda analisi, grazie al fatto che ho appena acquistato questa bottiglia.
    Mi permetto di chiedere: come ha gestito le temperature, dalla conservazione, al momento magico del.. Rito Apotropaico, alla notte e mattina e alla temperatura al bicchiere..
    Spero di non chiedere troppo, ma spesso ho vissuto amare esperienze "grazie "alla mancanza di controllo della T°.
    La bottiglia (ed il genio di Joly) meritano rispetto ed ogni attenzione.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Buongiorno sig. Fibonacci e benvenuto,
      La temperatura l'ha gestita in buona e ottima parte... la mia cantina. La bottiglia la bevvi a metà settembre e in quel periodo la mia cantina viaggia sui 12-14 gradi. Come scritto, la aprii la sera prima, la scolmai, la ritappai e la lasciai sempre in cantina.
      La bevemmo lentamente, a una temperatura intorno ai 14-15 gradi.
      Consideri che è una bottiglia che risulterebbe penalizzata dalle basse temperature. Per intenderci non è il classico bianco da sgargarozzare a 7-8 gradi, ma questo lei lo sa sicuramente, altrimenti avrebbe comprato un prodotto più "facile" e immediato.
      Spero di averle dato un piccolo aiuto.
      Mi facci sapere come è andata e mi raccomando, rito apotropaico indispensabile ;-)

      Elimina